domenica 12 maggio 2013

Amare letture: un post sui libri che poi non parla di libri nemmeno un po'




Mi ricordo la prima volta che ho letto un libro. Avevo 16 anni e  ai tempi non facevo che pensare al fatto che alla mia età fosse imbarazzante non aver ancora letto nulla; il fatto è che non mi era capitato di trovarne uno abbastanza interessante da spingermi a leggerlo per intero.
Ero un lettore incespicante tra mille inizi; già solo poche righe e la mia attenzione era altrove. Mi attraevano sì, le copertine, ma il contenuto non suscitava nulla. O meglio non l'aveva mai fatto prima di quella estate.

Me lo ricordo bene, il mio primo libro. Cioè, per essere più precisi non è che lo ricordi proprio bene, ma ricordo la sensazione che mi ha lasciato addosso. Ricordo che quando l'ho terminato la sensazione che ho provato era un misto di profonda tristezza e allo stesso tempo totale euforia.
La storia mi aveva preso così intensamente, mi ci ero immerso così a fondo che, se da un lato mi mancavano i personaggi e i luoghi, ero comunque cosciente del fatto che li avrei in qualche modo portati sempre con me. Questa sensazione mi confondeva, ma porto con me tutto quanto, ancora oggi.
Da allora iniziai a leggere sempre più avidamente, ma non ostante la quantità di tomi più o meno impegnativi, la lettura divenne ad ogni nuovo inizio un po' più lontana dalla sensazione di quel primo…
Ho letto libri d'avventura, romanzi fantastici e storici; saggi e racconti; poesie e poemi. Ciascuno più o meno breve; più o meno intenso.
Ho imparato allora che un racconto breve - perfino di un paio di pagine - poteva darmi emozioni forti e intense, a volte molto più di altri tomi più voluminosi, ché non è il numero di pagine. Ho imparato che esistono grandi gioie nascoste in poche frasi e - qualche volta - libri fatti di pagine e pagine e pagine e pagine piene di niente…

Alcuni li ho finiti di leggere soltanto perché una volta iniziati, sentivo di "doverli" finire, pur non avendone più voglia; libri che dopo il terzo o quarto capitolo già non mi catturavano più. E ancora, ho imparato a distinguerli da altri che mi rapivano per davvero, trasportandomi nei più diversi "altrove", ma che molto spesso - forse proprio per la forza di quel trasporto - finivano troppo presto. Libri divorati come il tuo piatto preferito o centellinati come un buon vino. Alcuni volati via nell'arco di una notte; altri durati per un tempo che a ripensarci ora non riuscirei bene a quantificare.

Col passare degli anni e delle letture il mio stesso modo di leggere ha iniziato a cambiare. Cercavo cose molto diverse da quelle che mi spingevano alla lettura da "piccolo". Se allora era la sfrenatezza della fantasia ad attrarmi, ora i miei bisogni si erano sofisticati. Imparando a conoscere meglio me stesso avevo nel contempo iniziato a capire di più che cosa cercare nei libri.
Quel loro potere era come diventato uno strumento, attraverso il quale potevo percepire la realtà in modo più ampio.
Mi arricchivano: a volte perché ci trovavo i miei "credo" più intimi, spiegati con parole che da solo non sarei mai stato in grado di mettere insieme; altre volte perché scardinavano quelle stesse convinzioni; e dopo l'ultima pagina mi ritrovavo sempre un po' diverso rispetto a chi ero prima di iniziare a leggere.

Se sei disposto a lasciare certe porte aperte, i libri possono arrivare a te da tutte le parti. Puoi vederne uno in una vetrina o dentro una libreria. Libri di cui non hai mai sentito il titolo né l'autore. Alcuni che vedi tra le mani di qualcun'altro e desideri per te. O possono esserti consigliati da un amico, che li conosce e "sa che questo ti piacerà: sembra scritto apposta per te. Vedrai se non ho ragione".

Sono un po' come la musica, per certi versi.

Poi però ce n'è uno… che mentre lo sfogli, con un'avidità che credevi persa da anni, ti dici che è la cosa più bella su cui ti sia mai capitato di posare gli occhi. Un libro che sembra contenere tutti gli elementi al proprio posto. Un libro perfetto non esiste, ma di certo esiste una combinazione alchemica di parole e emozioni; di forma e sostanza che sembra raccogliere in un unico percorso tutte le ramificazioni di quegli altri, in una disarmante armonia, un incastro così perfetto che ti stordisce.
Ma come tutti gli altri - nessuno escluso - è condannato ad avere un'ultima pagina. E ti ritrovi a leggere perfino le note a seguito. Ed è quando - in un picco di disperata, irrazionale mancanza - ti accorgi che stai temporeggiando sulle righe dell'indice analitico, pur di non smettere di leggere; quando realizzi che non stai riuscendo ad accettare la fine del viaggio; quando l'ostinazione sfora nel ridicolo, qualcosa si spezza. Irrimediabilmente.
E le letture seguenti si diradano, perché non è più la stessa cosa.
Ecco dove mi trovo, da circa due anni a questa parte. A volte mi impongo di leggere qualcosa, sperando che il moto si reinneschi.
Ma non è così che funziona.
E vorrei tanto riuscire a ricominciare. Perché mi manca da morire, leggere.

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