martedì 8 marzo 2011

pensieri, parole, opere o missioni


"Quando ero poco più che una bambina, con i miei genitori ci trasferimmo nell' Illinois, vicino Skookie, dove c'è il carcere.
Passammo lì cinque anni, prima di tornare in Francia.

Vivevo in una ricca cittadina bigotta di nome bridgeville e due volte a settimana, non me lo scorderò mai, mia madre mi portava in chiesa. A bridgeville dovevi andarci per forza, in chiesa, altrimenti eri sicuramente di dubbia moralità.
Ricordo le ore passate con le gambe ciondolanti sui banchi di ebano, neri, lucidi.
Ascoltavo mia madre, col suo accento francese, stridente accanto alla cadenza dell'Illinois, ripetere ancora ed ancora le stesse preghiere. Si poteva ascoltare la nenia delle centinaia di voci ripetenti all'unisono i salmi.
Per mia madre era diventato un suono da trance meditativa. Ricordo che a tavola una domenica disse che per lei era un po' come fare yoga.
Lo yoga è una cosa che una donna indiana aveva fatto fare a mia madre per aiutarla con certi dolori che aveva iniziato a sentire alla schiena,. Si sedevano in strane posizioni, respirando profondamente e ripetendo frasi strane. A me è sempre sembrata tanto buffa, ma lei diceva che funzionava.

Andare in chiesa per me era diverso. Stavo imparando con difficoltà l'americano ed ogni parola nuova era una preziosa informazione in più per imparare a parlare. Non avevo amici e a bridgeville nessuno parlava - né tantomeno capiva - il francese.
Il fatto che si ripetessero spesso le stesse cose era un corso perfetto. Potevo provare e riprovare a pronunciare bene le parole nuove. Bastava che cercassi di non sentire mia madre.

In una preghiera in particolare c'era una frase che non avevo mai capito. Questa recitava "...pensieri, parole, opere e omissioni..." ed io, bambina, non conoscevo certo la parola "omissioni" e così fui per anni convinta di dover chiedere perdono al Signore per "pensieri, parole, opere o missioni" ed in una consequenzialità infantile decisi che avrei chiesto perdono solo per le missioni fallite. In caso di successo era chiaro che il mio intento fosse ben visto, nell'alto dei cieli; fallire voleva dire aver tentato qualcosa che a Dio non andava affatto bene, quindi gli avrei chiesto perdono. Per me bambina quel ragionamento non faceva una grinza.

Un giorno parlai a mia madre di certe mie perplessità riguardo a questa storia e lei, ridendo di gusto e continuando a chiamarmi ma pétite mi spiegò delle omissioni: le mancanze, quel che avremmo potuto e forse dovuto fare, ma non abbiamo fatto.

Questo è il tuo peccato, Sebastiàn. Omissioni. Tutte le volte in cui mi hai tenuta lontana, in cui non mi hai neanche permesso di starti accanto; ogni volta che mi hai lasciata spettatrice della tua vita, ogni lettera non scritta, ogni silenzio col quale hai generato e poi cresciuto la distanza tra di noi. Tutto quello che avresti potuto fare, ma hai deciso di omettere.
Ci ho messo tanto a smontare questa equazione, come dici tu, ed ho ridotto migliaia di sfumature diverse, di piccoli, singoli dolori che mi hai fatto esplorare in tutto questo tempo ad un solo semplice concetto.
Vuoi stare con me, ma non importa che io sia felice.
Importa che tu sia felice.
Ed ora come ora ti rende più felice l'idea di stare con me. Ma questo da solo non basta; non può bastare. Non deve bastare. Io non voglio che basti. Io voglio molto di più, Sebastiàn Munìtz.

Devi avere a cuore che io sia felice. Perchè io ho a cuore che tu lo sia.
Ma tu questo non ce l'hai nel sangue. Ed io non ho scelta se non quella di allontanarti, perché tu non possa ferirmi."



E detto questo, senza essersi scomposta per tutta la durata  del suo monologo,  alzò i tacchi e mi lasciò lì, a bocca semiaperta, seduto al tavolo del Tom's. Mi era anche arrivata la bistecca. Non ne ho toccato neanche un boccone.
Tutto mi sarei aspettato da quell'invito a cena, fuorchè che mi lasciasse. E lo fece senza voltarsi.

Il juke box suonava "don't" di Elvis Presley.

Ma questo successe quattro anni fa, ormai. Molto prima che venisse a vivere da me. Sophie sa essere determinata, ma sappiamo entrambi che la sua tenacia è commisurata al cedimento che ne seguirà.
E' passionale. Ed io questa cosa di lei, l'adoro.

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