venerdì 4 novembre 2011
Tzunami
Apro la porta del mio alloggio e scorro la mano sulla parete adiacente per cercare l'interruttore della luce. Certe abitudini sono dure a morire e i polpastrelli passano le venature del muro in cerca della plastica. Sento sotto le dita le rughe del fango rappreso e solo allora - sarà passato un minuto buono - ricordo che non c'è nessun interruttore.
Nel luogo in cui dormo ora non c'è corrente, ma io proprio non mi ci sono abituato. E vivo qui da più di un anno. Non dico che tutte le sere faccia questa cosa di cercare lungo la parete, ma se sono distratto, sovrapensiero, non ci penso e la memoria fisica prende il sopravvento.
Nella casa in cui vivevo prima avevo appeso un quadro alla parete sopra il letto. Tecnicamente si trattava di una verniciatura su legno, come il commesso che me l'ha venduta ci aveva tanto tenuto a precisare. L'avevo avuta ad un prezzo scontato. Una signora se l'era fatta fare apposta, ma il risultato secondo lei non era all'altezza delle aspettative. Così l'ha lasciato a loro, senza pagare un centesimo.
Poi, qualche settimana dopo, nel negozio sono entrato io.
Si tratta di una copia di un'illustrazione giapponese; raffigura una enorme onda negli istanti immediatamente precedenti allo schianto. Sotto di essa una piccola imbarcazione di pescatori scivola nella valle d'acqua formata dal moto ondoso.
Ecco, per me vivere qui è un po' così. Vivere qui è uno schiaffo sul viso ogni volta che mi distraggo. E quando ero a "casa" ero sempre distratto.
Ci sono altri come me che hanno scelto di venirci a vivere, ma per loro è una specie di missione; per loro è una cosa sacra. Per loro l'idea di poter morire prima ancora di aver finito un pasto o mentre stai camminando lungo un qualsiasi sentiero è il rischio da accettare per un bene più grande.
Per me è diverso e me ne vergogno molto. Non sono qui solamente per fare del bene a qualcun'altro... sono qui anche per me, ma non posso certo raccontarlo in giro. Certi giorni mi sento quasi come se fossi qui solamente per me.
Sono i giorni in cui finiamo di costruire qualcosa, per esempio. I giorni in cui la gente che ti ha aiutato nel lavoro, la stessa gente che ha sudato insieme a te, ti guarda come se avesse aspettato una vita intera il tuo arrivo. E gli sguardi sono silenziosi, sì, ma carichi di una gratitudine violenta, struggente. Quel tipo di riconoscenza possibile solo quando l'aspettativa di vita non è più nella culla protetta dell' Occidente.
Ho fatto per anni quello che viene chiamato "lavoro di concetto". Vale a dire che ho sfruttato studi e cervello per avere nuove, buone idee. Innovazioni, avanguardia tecnologica, alte prestazioni, sempre strizzando l'occhio a moda e design... e invece ieri ho finito di costruire un pozzo. Un pozzo per l'acqua, con altre venti persone. L'abbiamo scavato, rivestito, ripassato ed abbiamo costruito un enorme meccanismo per pompare l'acqua sino alle cisterne. Un cazzo di pozzo. E mentre eravamo lì, cinque persone a sollevare un enorme tubo di ferro, ho ripensato al quadro in camera da letto.
Ho ripensato al fascino che ha sempre esercitato su di me. Al fatto che proprio l'acqua, un elemento senza forma, potesse acquistare una forza tanto grande e distruttiva grazie al semplice movimento. Grazie al fatto di muoversi insieme, tutta quell'acqua. E ieri sera, mentre andavo a dormire uno di quegli uomini mi ha salutato con un sorriso sdentato, dicendomi "l'unione fa la forte", così, in italiano mangiucchiato. E' una frase che mi ha sentito ripetere mentre lavoravamo. Aveva voluto sapere cosa significasse.
"...la for-ZA, fa la for-ZA", gli ho risposto sollevando la mano, senza smettere di camminare.
E non ho potuto fare a meno di pensare al mio quadro, che chissà ora dov'è. E un pochino anche alla mia vita, che in questo luogo si è fatta per necessità più compatta, meno rarefatta da problemi che qui semplicemente non riesco ad avere più.
E mentre spegnevo la lampada, quella notte, tossendo via tutto il cherosene sparso in aria, mi sono chiesto se ne sia uscita davvero più forte, la mia vita, proprio come l'onda del quadro. O se questo sia il mio momento sacro; quella manciata di istanti in cui l'onda è forte e violenta. Quella manciata di istanti che può esistere solamente prima dello schianto.
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è dolcemente malinconica, intensa da rimanere nella mente, ricca di frasi che si ripetono ancora nella testa, come un eco... sì, anche dopo che hai finito di leggere
RispondiEliminacon il disastro negli occhi quanto fa male...
RispondiEliminaApostrophe: grandissimo album di Zappa. Il mio preferito, di Zappa, actually.
RispondiEliminaio ti amo, quando scrivi così.
RispondiEliminacalvin
io ti amo, quando mi leggi così.
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