lunedì 4 luglio 2011

Il sesto giorno

[soundtrack: Mount Wroclai (Idle Days) - Beirut - Gulag Orkestar (Ba Da Bing! 2006)]

Il primo giorno sono stato svegliato - al solito - da un forte brivido all'altezza dei reni. Mi sono rigirato nel letto, invocando clemenza a Morfeo perché mi lasciasse dormire ancora. Così avrei staccato il cervello dal resto del corpo e sarei riuscito a far passare altro tempo.
Del resto il trucco è quasi tutto lì: riuscire a far passare il tempo.

Naturalmente in quel limbo, sospeso tra la veglia ed il sonno, mi sono chiesto quanto ancora avrei dovuto aspettare; ho cercato di immaginare un risveglio diverso, ma esistono pensieri più scomodi e pericolosi di altri. Così ho preferito cambiare questo con l'altro. Più malinconico e più intimo, ma pur sempre utile allo scopo che mi sono prefissato.
La mattinata è passata lentamente, ma inesorabilmente.

Il secondo giorno, nel pomeriggio, mi sveglia la voce pastosa di Giovanni Lindo Ferretti, proveniente dalle casse del portatile: "...allora un lampo unisce gli occhi e il cuore con borbottio di tuono / muovono le parole / e torna il Tempo, ritorna l'energia / torna il mattino, vuoto. Vuoto...". Apro gli occhi mormorando - se possibile con voce ancor più impastata dell'autore - le ultime parole della strofa, mentre il pianoforte ricama accordi in chiave bassa attorno al cantato sentimental-oltranzista del Ferretti.Cervello in avvio: "attendere il caricamento..."Scorro mentalmente tutti i muscoli di cui riesco a ricordare il nome; cerco di sentirli singolarmente, come chiamandoli all'appello. Una specie di palpata mentale per controllare che non ci siano strane sensazioni a bloccarli, farli dolere o affogarli nell'acido lattico, che per settimane oramai ha fatto da padrone tra le mie fredde giunture.Ma non lo sento.La mano sinistra allora scivola lungo la schiena; partendo dal Grande Dorsale scende lentamente sino all'altezza dei reni. Il gesto è pigro e trascinato dal dormiveglia, ma la mia attenzione è totale: niente.Non sento niente.Non sento brividi; non sento freddo; non sento dolore. Lo stupore allora mi ha fatto l'effetto di quel caffé che nel frattempo ho iniziato a desiderare morbosamente.Il terzo giorno ho aperto gli occhi con il viso schiacciato contro il cuscino di piume. Sembra che faccia più caldo del solito. Sembra che la scorsa notte sia passata con grande facilità.Sembra una bella giornata, dopotutto.Devo lavorare come un matto e mi metto seduto. Poggio il laptop in grembo, dando così un meritato rispetto al nomen-omen che gli americani hanno dato al dispositivo. E si comincia: serrato, concentrato, veloce e con la testa sgombra da qualsiasi distrazione, sino alle 19. Non ho neanche avuto il tempo di mangiare un boccone o farmi la doccia che dovrei proprio fare. Avrei voglia di uscire, ma non ne ho il tempo.Il quarto giorno mi scontro con l'evidenza dei fatti: ieri non ho avuto il tempo di fare nulla: ieri non ho bevuto lo sciroppo. Ieri non l'ho fatto.E' successo.
Per distrazione, per i mille impegni, quel che è... ma è successo. In modo naturale. Tant'è che semplicemente non me ne sono accorto. Ho cercato per mesi di riuscirci ed è stata una interminabile sequela di fallimenti. Molto spesso umilianti ammissioni di debolezza mi hanno portato di qualche passo indietro... 
Stavo facendo fiasco giorno dopo giorno e con quella stessa frequenza mi procuravo alibi di ogni tipo e genere, purché scaricassero dalle mie spalle la colpa di quella incapacità di agire che mi ha legato peggio di un grosso cane alla catena del giardino.

Ed ora la catena è sfilata dal gancio. Ora posso decidere di scappare. Avrò ancora addosso tutto il metallo freddo, sporco, arruginito, pesante, ma se decido di farlo posso andarmene via dal giardino cui ho fatto la guardia per tutto questo tempo. Lento pede, trascinando le mie zavorre, posso - ancora un'altra volta - andare via da qui.

Mi alzo e vado a farmi una doccia. Mi asciugo, mi metto i primi vestiti puliti a portata di mano ed esco. Ed è da te che vorrei correre. Vorrei venirti a raccontare la sensazione di puerile onnipotenza che mi ha portato davanti al portone del tuo ufficio. Lo farei quasi strillando dallo stupore, che ancora non me lo tolgo di dosso. E credimi: mi vedresti brillare gli occhi.

Vorrei prendere del sushi e mangiarlo su ponte Sisto, guardando il Tevere sotto di noi e le statue degli imperatori uccisi dal progresso sopra le nostre teste. Vorrei, ma non lo faccio, perché non sei più tu, quel centro di gravità intorno al quale seguire l'ellittica: una traiettoria definita dall'attrazione. La cosa più intrinsecamente sensuale che ci sia nel cosmo.

Così chiamo qualcun'altra e divido con lei questo momento. E' piacevole, ma non la stessa cosa. Non è mai la stessa cosa.Il quinto è giorno di grande orgoglio! Il corpo risponde come deve; la mente è iperattiva come si confà alla fine di un lungo e desiderato letargo. Ritorna l'energia, torna il mattino, vuoto. Torna la vita. Tornano le emozioni, le persone, le relazioni; torna il vigore e con lui il rancore, l'amore per quell'uomo che negli ultimi dieci anni avevo deciso di ignorare: me stesso.Durante tutto il pomeriggio mi comporto come un neonato nel corpo di un adulto: guardo, tocco, pizzico e ascolto: non mi pare vero di essere "qui ed ora".E sorrido, per dio. Sorrido. Come non succedeva da quando siamo andati in tram a quella mostra terribile su Chagall. Il giorno in cui Roma era calda, afosa, nel bel mezzo di un gennaio inspiegabile, che portava con sé l'ingenua promessa di restare insieme, tu ed io. Il giorno in cui mi hai guardato, seduta, ma dondolante insieme a tutti gli altri passeggeri, dicendomi con un sorriso ed uno sguardo indimenticabile: "sei molto bello, con questa luce, sai?".
Posso vedere la mia espressione attraverso lo specchio. Riconosco un volto diverso dal solito, ma allo stesso tempo più familiare di quanto non sia riuscito ad essere negli ultimi anni.

La sera sono in strada.

Riprendo i fili di rapporti sopiti dal sedativo della mia pigrizia farmaco-indotta. Parlo con le persone e ricomincio a sentirle davvero. Nel bene e nel male - certa gente sembra che non possa proprio annoiarti più di così - mi sento come ributtato in un mondo fatto di individui alla ricerca di una connessione umana. O forse solamente di un paio di orecchie a cui affidare le proprie perle di saggezza, le piccole depravazioni socialmente accettabili e gli episodi di vita vissuta. Alcuni persino con tanto di morale in calce...

Il sesto giorno mi siedo davanti al portatile che fuori è ancora buio, ma tra poco il sole sorgerà. Inizio a spiegare disordinatamente gli eventi dei giorni passati come si fa con gli oggetti tirati fuori dalla valigia al ritorno da un viaggio. Ho bisogno di osservarli nel loro insieme; devo trovare il "fil rouge" e capire, finalmente, in quale punto io mi trovi, in questo "camino de Santiago" surreale e allo stesso tempo vero come poche altre cose lo sono state, ultimamente. Ed è così che penso ancora una volta a te. E decido di mettere le mani aperte sulla tastiera iniziando a scrivere: "Il primo giorno sono stato svegliato...". Del resto devo lasciar uscire in qualche modo questa cosa dal petto. O anche oggi sentirò questo strano plasma bruciare e smanierò dal desiderio di strapparmi la pelle di dosso 


" ...e voi cosa volete? di che cosa vi fate? dov'è la vostra pena? qual è il vostro problema? perché vi batte il cuore? per chi vi batte il cuore?..."
[ CCCP - "Valium, Tavor, Serenase" - Affinità - Divergenze tra il Compagno Togliatti e Noi (1986) ]

6 commenti:

  1. Eppure tutto va bene, va proprio tutto bene...
    Non dimenticare.

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  2. meglio un medicinale o una storia infernale?

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  3. Si sta male a leggerti, Fred.
    Oppure bene.
    Indifferenti mai.

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  4. grazie Alke :)
    sto avendo maggiore risposta di quanto non immaginassi...

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  5. ok.. ammetto di non aver capito.. ma erano anni che non passavo di qua..
    magari un giorno ci faccimo questa lunga telefonata..

    baci
    Bina

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