martedì 16 luglio 2013

una specie di sottile tentacolo

Uno dei motivi per cui ancora, a volte, provo rancore è che non posso condividere cose come questa. Con nessuno.
E ne soffro.
Maledizione.
E la colpa è tua.
E lo sai come va a finire? Finisce che una rampicante nera, una specie di sottile tentacolo di pece, partendo dalla caviglia mi sale su per una gamba, slogando le ginocchia, avvolge il ventre, stringe il petto, costringe una spalla, torce le braccia, sino alla gola.
E poi, per un momento - un momento solo, che da fuori sembra meno di un attimo - non respiro più.
E la colpa è tua. Deve essere colpa tua. Perché è più vivibile, se è colpa tua.
Perché puntare un dito e digrignare i denti è dieci, cento, mille volte più facile, che accettare un dolore e crescere un po'.


lunedì 17 giugno 2013

Wahrheit ist feuer


"La Verità è Fuoco e dire la verità vuol dire splendere, ardenti"

venerdì 31 maggio 2013

domenica 12 maggio 2013

Amare letture: un post sui libri che poi non parla di libri nemmeno un po'




Mi ricordo la prima volta che ho letto un libro. Avevo 16 anni e  ai tempi non facevo che pensare al fatto che alla mia età fosse imbarazzante non aver ancora letto nulla; il fatto è che non mi era capitato di trovarne uno abbastanza interessante da spingermi a leggerlo per intero.
Ero un lettore incespicante tra mille inizi; già solo poche righe e la mia attenzione era altrove. Mi attraevano sì, le copertine, ma il contenuto non suscitava nulla. O meglio non l'aveva mai fatto prima di quella estate.

Me lo ricordo bene, il mio primo libro. Cioè, per essere più precisi non è che lo ricordi proprio bene, ma ricordo la sensazione che mi ha lasciato addosso. Ricordo che quando l'ho terminato la sensazione che ho provato era un misto di profonda tristezza e allo stesso tempo totale euforia.
La storia mi aveva preso così intensamente, mi ci ero immerso così a fondo che, se da un lato mi mancavano i personaggi e i luoghi, ero comunque cosciente del fatto che li avrei in qualche modo portati sempre con me. Questa sensazione mi confondeva, ma porto con me tutto quanto, ancora oggi.
Da allora iniziai a leggere sempre più avidamente, ma non ostante la quantità di tomi più o meno impegnativi, la lettura divenne ad ogni nuovo inizio un po' più lontana dalla sensazione di quel primo…
Ho letto libri d'avventura, romanzi fantastici e storici; saggi e racconti; poesie e poemi. Ciascuno più o meno breve; più o meno intenso.
Ho imparato allora che un racconto breve - perfino di un paio di pagine - poteva darmi emozioni forti e intense, a volte molto più di altri tomi più voluminosi, ché non è il numero di pagine. Ho imparato che esistono grandi gioie nascoste in poche frasi e - qualche volta - libri fatti di pagine e pagine e pagine e pagine piene di niente…

Alcuni li ho finiti di leggere soltanto perché una volta iniziati, sentivo di "doverli" finire, pur non avendone più voglia; libri che dopo il terzo o quarto capitolo già non mi catturavano più. E ancora, ho imparato a distinguerli da altri che mi rapivano per davvero, trasportandomi nei più diversi "altrove", ma che molto spesso - forse proprio per la forza di quel trasporto - finivano troppo presto. Libri divorati come il tuo piatto preferito o centellinati come un buon vino. Alcuni volati via nell'arco di una notte; altri durati per un tempo che a ripensarci ora non riuscirei bene a quantificare.

Col passare degli anni e delle letture il mio stesso modo di leggere ha iniziato a cambiare. Cercavo cose molto diverse da quelle che mi spingevano alla lettura da "piccolo". Se allora era la sfrenatezza della fantasia ad attrarmi, ora i miei bisogni si erano sofisticati. Imparando a conoscere meglio me stesso avevo nel contempo iniziato a capire di più che cosa cercare nei libri.
Quel loro potere era come diventato uno strumento, attraverso il quale potevo percepire la realtà in modo più ampio.
Mi arricchivano: a volte perché ci trovavo i miei "credo" più intimi, spiegati con parole che da solo non sarei mai stato in grado di mettere insieme; altre volte perché scardinavano quelle stesse convinzioni; e dopo l'ultima pagina mi ritrovavo sempre un po' diverso rispetto a chi ero prima di iniziare a leggere.

Se sei disposto a lasciare certe porte aperte, i libri possono arrivare a te da tutte le parti. Puoi vederne uno in una vetrina o dentro una libreria. Libri di cui non hai mai sentito il titolo né l'autore. Alcuni che vedi tra le mani di qualcun'altro e desideri per te. O possono esserti consigliati da un amico, che li conosce e "sa che questo ti piacerà: sembra scritto apposta per te. Vedrai se non ho ragione".

Sono un po' come la musica, per certi versi.

Poi però ce n'è uno… che mentre lo sfogli, con un'avidità che credevi persa da anni, ti dici che è la cosa più bella su cui ti sia mai capitato di posare gli occhi. Un libro che sembra contenere tutti gli elementi al proprio posto. Un libro perfetto non esiste, ma di certo esiste una combinazione alchemica di parole e emozioni; di forma e sostanza che sembra raccogliere in un unico percorso tutte le ramificazioni di quegli altri, in una disarmante armonia, un incastro così perfetto che ti stordisce.
Ma come tutti gli altri - nessuno escluso - è condannato ad avere un'ultima pagina. E ti ritrovi a leggere perfino le note a seguito. Ed è quando - in un picco di disperata, irrazionale mancanza - ti accorgi che stai temporeggiando sulle righe dell'indice analitico, pur di non smettere di leggere; quando realizzi che non stai riuscendo ad accettare la fine del viaggio; quando l'ostinazione sfora nel ridicolo, qualcosa si spezza. Irrimediabilmente.
E le letture seguenti si diradano, perché non è più la stessa cosa.
Ecco dove mi trovo, da circa due anni a questa parte. A volte mi impongo di leggere qualcosa, sperando che il moto si reinneschi.
Ma non è così che funziona.
E vorrei tanto riuscire a ricominciare. Perché mi manca da morire, leggere.

sabato 1 dicembre 2012

Gillian, datti una calmata

Gillian Lynne e sua madre

Gillian sedeva sulla sedia dello psicologo, mani sotto le cosce, spostando il peso da un lato all'altro e sentendo la pressione sui dorsi schiacciati contro il velluto con cui la sedia era foderata.
Accanto a lei, sua madre ascoltava il resoconto dei problemi disciplinari della bimba, elencati con gran serietà dal consigliere scolastico.
Non riusciva a seguire le lezioni con la giusta attenzione, non avrebbe tratto profitto dagli insegnamenti che quotidianamente le venivano impartiti. La madre ascoltava con composta preoccupazione.
La cosa andò avanti per un po' sino a che il consigliere, rivolgendosi direttamente alla bambina, disse:
"Gillian, cara, io e la tua mamma dobbiamo parlare di alcune cose in privato. Ti dispiacerebbe aspettarci qui?"

La bambina annuì senza emettere un suono e gli altri due si alzarono; uscendo dalla stanza, quasi con distrazione, lo psicologo accese la radiolina a transistor posta sullo scrittoio.
Una volta fuori, questi disse alla signora Lynne "ora guardi…"
Gillian era saltata in piedi e si muoveva al ritmo della musica.
Allora il consigliere poggiò una mano sulla spalla della signora Lynne per rassicurarla: "Gillian non è malata. E' una ballerina. La iscriva in una scuola di danza"

E così fu.

Questa storia non è farina del mio sacco, badate bene. E' stata proprio lei, Gillian a raccontarmela, . Le ho parlato la scorsa settimana e per descrivere l'ingresso nella scuola di danza vorrei usare le sue parole:
<< sono arrivata lì ed era fantastico. Era pieno di gente come me; tutti bambini che non riuscivano a stare seduti composti; pieno di gente che ha bisogno di muoversi, per poter pensare >>

Mi è rimasta in testa: "bisogno di muoversi per poter pensare"…

Non la tirerò per le lunghe… Gillian si diplomò, per diventare poi insegnante nella propria scuola e poco dopo coreografare alcuni dei più grandi musical della storia, divenendo tra l'altro ricca sfondata. E io non riesco a levarmi dalla testa la convinzione che un altro psicologo le avrebbe prescritto dei farmaci e detto semplicemente di darsi una calmata.

giovedì 15 novembre 2012

mercoledì 14 novembre 2012

Foot finger fracture

Mi sono allegramente fratturato un dito del piede. Che jella bastarda. Soffro.